Ormai ci stanno bombardando mediaticamente da ogni fronte con l’”emergenza coronavirus”, emergenza che ha costretto tutte le famiglie dei Comuni isolati e non a stare a casa, genitori e figli compresi. In questi giorni si è sentito parlare infinitamente dello smart working e del lavoro Agile, l’unico modo per continuare a lavorare stando “comodamente” a casa….comodamente in questo caso usato in senso ironico…perché parliamoci chiaramente, come sì possa pensare di continuare a lavorare da casa come se fossimo in ufficio quando le scuole sono chiuse è veramente molto molto difficile.
Però un metodo di lavoro innovativo che fino a questo momento veniva applicato solo in casi eccezionali, solo nelle aziende maggiormente propense all’innovazione, adesso viene testato in maniera forzata su un livello decisamente più ampio, tanto da arrivare, data l’emergenza, al Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2020, nel quale sono state nuovamente modificate le modalità di accesso allo smart working. Lo smart working è infatti una modalità innovativa di esecuzione del lavoro, nel quale si pone grande attenzione alla flessibilità organizzativa di chi porta avanti il progetto, alla mancanza di rispetto di orari definiti, di vincoli di spazi e quindi di ufficio in cui lavorare, mantenendo però invariato il trattamento economico rispetto al lavoro tradizionale. L’innovazione del metodo sta nel considerare in primis il lavoratore come una persone a tutto tondo, che possano in questo modo trovare un aiuto nel conciliare i tempi di vita lavorativa ma anche quelli della vita personale, una persona che quindi abbia hobby, una famiglia, progetti, interessi, ma al tempo stesso possa comunque favorire la crescita e la produttività dell’azienda, perché è ormai noto che una lavoratore felice, sereno, che abbia la possibilità di pensare anche al proprio benessere personale, lavora sicuramente meglio, traendone giovamento così anche l’azienda stessa. Solo di recente infatti è stato inserito nelle politiche di welfare, considerati i benefici possibili per i dipendenti, ma sicuramente in Italia è sempre stato un tema molto delicato con notevoli resistenze.
Emergenze come il coronavirus hanno invece spinto o costretto molte imprese ad adottare questa metodologia di lavoro nel giro di poche ore e, a causa di carenze in termini di competenze e infrastrutture, con importanti costi aggiuntivi economici e di risorse umane. L’architettura dello smart working, ma anche quella più in generale dell’azienda in rete, prevede che i dipendenti accedano al sistema e quindi ai dati aziendali dall’esterno delle rete anche con dispositivi propri, tutto ciò, secondo Acronis Inc., società che produce software con sede a Burlington nel Maryland e diverse sedi minori in Asia e Europa, fa crescere i rischi di attacchi di terze parti anche con obiettivi di furto e richieste di riscatto.
Il primo effetto lo si è visto nella stessa Cina, dove la modalità del lavoro agile è storicamente poco adottata: Zoom, il software che consente di collaborare a distanza ospitando e connettendo videoconferenze anche affollate (fino a 500 partecipanti) ha visto un aumento del 15% dei download in un solo giorno. Ed è prevedibile che agli spostamenti fisici vengano in futuro preferiti, anche a emergenza virus terminata, quelli virtuali: è stimato in forte aumento il ricorso a riunioni, anche di vertice, in rete.
Secondo l’Allianz Risk Barometer 2020 le imprese si trovano e si troveranno sempre di più ad affrontare rischi di violazioni di dati sempre più grandi e costose, così come la prospettiva di sanzioni pecuniarie o controversie legali in materia di privacy. Una grande violazione dei dati, che ne compromette cioè più di un milione, costa oggi in media 42 milioni di dollari, con un aumento dell’8% in un anno. Gli incidenti stanno diventando sempre più significativi e le aziende sono colpite da attacchi sempre più hi tech e da ingenti richieste di estorsione. Cinque anni fa, una tipica richiesta di riscatto sarebbe stata di decine di migliaia di dollari, mentre ora può superare il milione di dollari. Anche perché i dati sono il nuovo petrolio, ed il futuro delle aziende si gioca sulla capacità di proteggerli da una parte e portarli in superficie ed estrarne valore dall’altra.
L’azienda in rete, se non adeguatamente protetta, diventa quindi più vulnerabile e sarà quindi sempre più necessario “alzare gli scudi” a protezione dei dati, cosa che implicherà maggiori oneri ma volendo e dovendo vedere l’aspetto positivo della questione, darà vita a nuovi progetti e a nuove possibilità, cosa che si potrà tradurre quindi in nuove competenze e nuove possibilità lavorative. Non resta quindi che continuare a studiare e a formare i giovani che si affacceranno al mondo del lavora secondo quelle che già sono e che saranno sempre di più i nuovi scenari.