Techinn intervista Marta Basso, CEO e Co-Founder di Brandplane

L’intersezione con alcune realtà può avvenire in diversi modi. Alcune volte si tratta di pura casualità, ma ciò che più conta è l’output finale che l’esperienza porta.

Nel caso di Brandplane la conoscenza reciproca è avvenuta grazie a una Mentorship, il programma di accelerazione di @StyleIt a cui Marta e il suo team hanno partecipato incontrando Letizia, CEO e Founder di Techinn, nel ruolo di Mentor.

In un percorso condiviso di Mentorship ben presto si apprende che non è solo il Mentor a dare, ma è anche il Mentee, con il suo bagaglio di esperienza, con la freschezza di idee e la voglia di innovare, a permettere uno scambio alla pari, un processo “do ut des”.

Essere Mentor per Letizia significa proprio questo: “to give back”: dare indietro quello che l’apprendimento professionale ti ha donato, ricevendo in cambio molto di più.

Lo scambio umano e insieme professionale che si crea non implica solamente il mettere a disposizione dei consigli pratici, ma anche e soprattutto la condivisione di una visione, ossia la necessità di innovazione nell’imprenditoria moderna italiana.

Una serie di incontri online – terminati a dicembre – per avere una conferma: il progetto Brandplane è portentoso e dalle potenzialità future enormi. È notizia di questi giorni che l’azienda ha completato un’operazione di finanziamento da 460mila euro sottoscritta da Styleit, l’acceleratore fashiontech nato da un’iniziativa di CDP Venture Capital, Startupbootcamp e Gerllify.

Ma come nasce la prima scintilla per la creazione di una startup in ambito tech e innovativo? Lo abbiamo chiesto direttamente a Marta Basso, CEO e Co-Founder di Brandplane.

Da cosa e quando nasce l’idea di Brandplane?

L’idea di Brandplane nasce da una triplice esperienza personale: il fatto di essere stata Marketing Manager in una Media azienda, il fatto di fare la Content Creator e il fatto di aver avuto una Media Agency che ha lavorato principalmente creando video per i social per Fortune 500 brands. L’unione fra queste esperienze, un paio di anni fa, ha portato alla prima idea di Brandplane e al fatto che volessimo trovare una soluzione per dare la possibilità anche a chi non aveva budget, conoscenze digitali o magari non si fidava delle agenzie di sfruttare il potere dei social e quindi un po’ democratizzarlo.

Quali sono le potenzialità di una piattaforma come Brandplane, oltre alla riduzione dei tempi dedicati alla content creation?

La principale sfida, come dicevo, è da una parte rendere realmente accessibile e democratico la presenza sui social e il branding di professionisti e aziende, anche dove non ci siano budget faraonici. Dall’altra parte volevamo rendere il processo un po’ più smooth, un po’ più chiaro e semplice e ridurre lo spreco nei reparti marketing – anche i più strutturati -, e quindi poter dare finalmente dignità alla creatività di tantissimi creativi là fuori che sono oberati di task senza valore aggiunto. I dati parlano di 40 ore settimanali che i marketing impiegherebbero in attività che secondo loro non portano valore aggiunto. Quindi in questo caso, Brandplane diventa anche uno strumento di retention dei dipendenti, cioè quella capacità di ridare indietro del tempo, facilitando così il tempo dedicato allo sviluppo della creatività.

Diventare entrepreneur nel mondo AI, oggi. A quali sfide si va incontro?

La sfida principale è di farsi incagliare dall’hype sicuramente: c’è sempre un’opinione di fronte a te, su quello che stai facendo, a prescindere dall’informazione più o meno valida, e dalla formazione della persona che hai davanti. Tutti parlano di AI e tutti sentono in dovere di parlare di AI, oggi. Io personalmente mi sento un’enorme ignorante che tutti i giorni impara tantissimo dal proprio CTO e dal proprio Dev Team, sull’AI. Scherzando io dico che fino a tre anni fa non sapevo cosa fosse un B2B SaaS, per esempio, che è la nostra categoria come modello di business. Quindi questo aspetto secondo me è un’enorme sfida dal punto di vista commerciale – ma anche divulgativo – e la capacità di andare oltre questo e oltre le promesse e le paure.

C’è veramente tanta ignoranza intorno al tema, siamo agli albori di una rivoluzione e bisogna accettarla per quello che è. Bisogna far fare alle persone e alle aziende quel passettino in più, affinché capiscano che le AI oggi sono come Internet due decenni fa: oggi non pensiamo più alle potenzialità di Internet, ma lo diamo per scontato, come parte integrante della nostra vita.

In ottica futura, quali sono gli sviluppi che attendono Brandplane? Quali obiettivi da qui ai prossimi 10 anni?

Sicuramente il nostro obiettivo è di continuare a crescere e crescere bene come stiamo facendo, aumentando le casistiche dei clienti enterprise e allo stesso tempo cementificando la base di clienti più piccoli, quindi liberi professionisti e PMI. Ci attiveremo sicuramente con un partner program, sia per agenzie che per aziende, che si occupano di software e di innovazione, per ampliare la nostra rete distributiva. La grande sfida di quest’azienda è secondo me proprio quest’ultima. D’altra parte, dal punto di vista del prodotto, dobbiamo essere sempre più un’assistente e sempre meno un altro ennesimo tool come se ne vedono tanti sul mercato, che risolve un singolo pezzo del processo, ma di fatto lo complica, perché non si integra con nient’altro.

Obiettivi da qui ai prossimi dieci anni direi exit. Ci tengo a specificare che, da qualche tempo, spendo un’ora al mese per fare l’elenco delle potenziali aziende che ci potrebbero comprare. Vediamo se la profezia si avvera!

Leadership al femminile, salute mentale e automatizzazione della creatività. Chi è Marta oggi e chi sogna di diventare “da grande”?

Questa domanda mi fa sognare perché mi fa sentire ancora piccolina. Il mio macro-obiettivo – che è un po’ il sogno nel cassetto – è comprare la mia squadra del cuore, il Vicenza Calcio. Tifo anche Inter – ma costa veramente troppo, e non potrò permettermelo, temo!

L’obiettivo di business e di lavoro? Mi piacerebbe continuare a fare l’imprenditrice e di essere operational in quello che faccio, prima di diventare Advisor e possibilmente Investor, è questo è un secondo passaggio che vedo in un futuro… quando sarò grande! Mi piacerebbe avere impatto, questo sì, soprattutto in ambito sociale, e supportare cause a cui tengo particolarmente. Ne cito due: gli animali, specialmente i cani. La seconda causa è rafforzare il mio sostegno nei confronti dei diritti delle donne e della parità di genere. Abbiamo già fatto un’iniziativa molto, molto bella in occasione del mio compleanno in cui abbiamo raccolto più di 1000€ con SheTech, regalando più di 20 quote associative sospese nel Sud Italia a giovani donne, under 35. Mi piacerebbe anche poter sfruttare di più il mio diploma di Sommelier. Prima o poi, vorrei ritirarmi nel settore vitivinicolo, aprendo una mia cantina, anche se, conoscendomi, probabilmente continuerei a fare smart working da lì.

Una cosa a cui tengo è che mi piacerebbe essere in futuro, speriamo più avanti possibile, una persona che fa quello che per esempio io da tanti non ho avuto (ma da quei pochi che mi è successo, io me lo ricordo molto bene), ovvero far tornare indietro il valore ricevuto e poter guidare al meglio le persone giovani – o meno giovani – che si approcciano per la prima volta al mondo dell’imprenditoria. Questo quando non sarò più io nelle frontline.

Alla fine del percorso ci si rende conto che mentorship è sinonimo di arricchimento, non in termini pecuniari, ma in termini ben più profondi, non misurabili e più duraturi.

E anche l’intervista a Marta ne è una prova.

Articolo a cura di Florije Abdiu